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Fragmento |
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Su pequeña mano
¿Cómo es que las llaman? ¿Puertas plegables?, ¿puertas tijera?, ¿de fuelle?, ¿acordeón? Son esas puertas de ascensor antiguo; ésas que cuando están cerradas forman versos de Marinetti. Ésas ideales para arrancarse dos o tres dedos. Ésas que permiten palpar, aunque sea por un instante, el misterioso universo que se esconde entre el techo de la planta baja y el embaldosado del primer piso. Bueno, una de ésas era la puerta interna del ascensor de mi nuevo edificio. Y así eran también las puertas externas de todos los pisos, excepto la puerta de la planta baja. La de la planta baja era distinta. Un biombo de siete macizos paneles de chapa verde. No vi ese detalle cuando elegí mudarme a este departamento. Debí esforzarme por ser más atento, debí consagrar mis sentidos a los detalles. Siete paneles que casi impedían ver el interior del ascensor cuando uno entraba en el edificio. Un biombo fatídico que administraba el régimen de visibilidad inmobiliario. Pero el sistema no funcionaría si no alentase el deseo de mirar. En la cuarta chapa –la más simétrica, la chapa rectora–, la historia torcía ligeramente su rumbo, condescendiendo el ingreso del azar. La cuarta chapa tenía una pequeña ventanilla de veinte centímetros de alto por unos diez de ancho. El caos introducía por allí su pequeña mano, permitiendo que las miradas que se posaban sobre ese vacío vieran una ínfima porción de lo que sucedía dentro de la cabina del ascensor. Por lo general, no ocurría nada extraordinario. Pero hoy, al regresar de la casa de Valdivia tras deambular como zombi por las calles, por esa ventanita vi uno de sus ojos. Y luego pelo, luego tela, y luego negro.
El ascensor fue hasta el cuarto piso. (Ahora que lo pienso creo que ese ojo también me vio, Montenegro. Creo que lo que vi no fue un ojo, sino una mirada. Una mirada ciclópea. El cíclope más hermoso que se haya visto.) Luego, el mismo ascensor, por exclusiva petición mía, bajó hasta el nivel del mar. Y luego subió hasta el quinto piso. Y luego ya les perdí el rastro. A todos.
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[Kultural]
Semana, L'Acrobazia Del Pensiero
Por Annamaria Garbagnoli
A volte la vita non ci lascia neppure il tempo di guardarci intorno, di osservare, di interiorizzare il presente, e anche quando proviamo, in un attimo è già tutto passato.
Un libro è una pausa preziosa durante la quale vado incontro a nuove conoscenze, che forse mi aiuteranno a ritrovare pensieri smarriti, o altri, più nuovi, che diverranno miei. Esteban Tellier, attualissimo protagonista di Semana, di pensieri ne ha tanti, tantissimi. In una settimana può accadere di tutto o nulla di rilevante, e nel suo caso ci sarebbero tutte le premesse per la seconda alternativa, perché Esteban, nonostante sia affabile, brillante, colto e di bell'aspetto, è disoccupato, divorziato, senza figli, privo di impegni familiari o sociali, senza responsabilità: un vero antieroe del nostro tempo. In realtà, la sua avventura è costellata di sorprese, vicende esilaranti, talvolta drammatiche e paradossali.
La trama è un pretesto funzionale alle sue acute riflessioni.
Con esse Esteban riempie i giorni, registrando minuziosamente stati d'animo, sogni, ricordi d'infanzia, impulsi, colori, malesseri, sbalzi d'umore suoi e delle persone che incontra. È un osservatore lucido e ironico del concreto e della propria interiorità. Dalle note sui dettagli quotidiani alle vertigini della ricerca di un senso, le deduzioni sono esposte accuratamente, con un lessico ricco di termini esatti in cui nessuna frase, nessuna metafora o minima parola è accessoria, casuale, nonostante l'apparente leggerezza.
Mentre trascura il caotico appartamento in cui vive, e i segnali del corpo logorato dal fumo, dall'alcol e la dieta sbagliata, Esteban coltiva infatti con cura amorevole i propri pensieri, li compone e scompone come farebbe col suo gioco l'autore di un nuovo rompicapo. In essi, e non nei classici obiettivi della vita, ha convogliato la sua volontà, la sua vasta cultura. Ha desideri su cui fantastica e s'intenerisce, ma senza credervi davvero. Scettico e sfiduciato, a tratti quasi nihilista, ma dotato di salvifica ironia, è in continuo equilibrio tra disperazione e speranza, tra consapevole autodistruzione e normalità, tra vizio e sforzi di miglioramento. Ai suoi finti tentativi, però, manca spesso la volontà che va oltre l'intenzione.
Inizia ogni giorno della settimana con un risveglio riluttante: il mattino, tappa obbligata che innesca la catena di montaggio del giorno, è il momento in cui si è costretti ad abbandonare i sogni e tornare alla routine. Una serie di riti meccanici, di doveri utili e incomprensibili a un tempo. Per uno con la sua fantasia, l'abitudine è intollerabile, ma la noia del nulla è un rischio ancora più grande, e in questo mondo privo di punti di riferimento, una bella lista di cose da fare è rassicurante e quasi indispensabile per sopportare la vita. Su Esteban veglia lo sguardo materno della ex moglie, che ben conosce la tendenza alla deriva del marito, e non smette di occuparsene, svegliandolo ogni mattina e procurandogli persino un lavoro.
Le donne di Esteban sono figure positive, protettive, pratiche, generose, più capaci degli uomini di adattarsi alla realtà, di guardarla con occhi seri, forse perché meno consapevoli del male di vivere e degli avvoltoi che lo rappresentano. O forse soltanto perché più coraggiose. Lui ricambia il loro sguardo con tenerezza e gratitudine. Grazie alla moglie, egli ottiene un impiego che non concretizza mai, ma che lo coinvolge in un crescendo di situazioni comiche e assurde, mettendolo in contatto con personaggi pure teneri e un poco stralunati, addirittura grotteschi, come il dotto e misterioso Ahrimàn, dal naso lunghissimo e la sciolta parlantina. Ciascuno di loro gli si affida infondendogli il sentimento nuovo e concreto della responsabilità.
Poi ci sono gli amici. Lo scrittore goffo e misantropo con cui si confronta in intense schermaglie dialettiche, e l'altro, quello che nel tempo ha smarrito la lucidità e l'acume necessari per partecipare agli scontri intellettuali. Le sue conversazioni sono più semplici, confortanti e salutari, eppure gli amici lo compiangono per la sua scarsa inclinazione a misurare le parole. Perché è nelle parole, come nei pensieri e nella innata capacità di osservare i dettagli, che Esteban cerca la misura del proprio equilibrio.
A volte, per stanchezza o distrazione, si pronunciano parole imprecise o inutili, parole che possono causare danni, o ferire. Allo stesso modo, per una disattenzione, si possono commettere gesti sbagliati, errori irreversibili.
Un malessere sottovalutato può condurre in fin di vita, una svista o un momento di distrazione può trasformare in criminali. Esteban lo impara bene, e per reagire si mette alla prova memorizzando particolari, esercitando il proprio spirito d'osservazione.
Ciò che più teme infatti è la nausea, la perdita dell'equilibrio e dell'autocontrollo, e per non soccombere si affida, ancora una volta, alla forza inesauribile del pensiero.
[El arca digital]
Semana
Por Nina Thürler
Semana es la primera novela del joven escritor argentino Sebastián Martínez Daniell, (Buenos Aires, 1971). A través de esta muestra primigenia se puede vislumbrar un promisorio valor literario en gestación. Es la crónica detallada de las vivencias de una semana completa en la vida del protagonista, Esteban Tellier, joven desocupado, a quien su novia se obstina en conseguirle algún tipo de ocupación, objetivo que, pese a la resistencia que opone él mismo, acaba por obtener.
A partir de este suceso inesperado en su existencia, surge una retahíla de situaciones a veces trágicas, a veces divertidas, que van hilvanándose hasta conformar un corpus de excelente estructura literaria. Todo se produce a partir del momento en que un lunes de mañana, en medio de una pesada somnolencia, Esteban recibe el imperativo llamado telefónico de ella, comunicándole la desagradable noticia: debe presentarse en un trabajo.
Una nueva e inesperada forma de vida se le presenta. No menos imprevisto es el personaje que tendrá el rol de ser su jefe, sin ninguna noción aparente de cuál será la tarea que deberá realizar en el futuro y mucho menos qué deberán hacer sus colaboradores. Con estos ingredientes básicos y una gran dosis de ironía, humor e introspección psicológica Martínez Daniell construye una estructura novelística de interesante nivel, que lo ubica entre los escritores jóvenes que deberán ser tenidos en cuenta por la crítica.
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[Revista Noticias]
Semana
por Elvio Gandolfo
En siete días puede pasar de todo. En especial, si uno vive en la Argentina. Ese devenir desmoralizante le ocurre a Esteban Tellier, un hombre divorciado, solitario y metafísico, que combate la desidia refugiándose en su mundo interior. Ópera prima de alto vuelo.
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